Questo grande comunicatore, così ricercato nell’a-tu-per-tu della confessione e della confidenza amicale, così calamitante nel parlare alle folle che si stipavano intorno ai suoi pulpiti, fu altresì un uomo di vaste costanti solitudini. Non parliamo, in questo momento, della sua scelta di «deserto», cioè della componente contemplativa del suo vivere secondo l’evangelismo francescano. Intendiamo identificare una serie di situazioni oggettive, che fecero da «basso continuo» alla sua terrestre itineranza.
Cominciamo dalla famiglia. Non siamo informati sui rapporti che intercorsero effettivamente fra i genitori e il loro primogenito, tra lui e i fratelli, tra lui e gli amici. Che aria si respirava a casa? Egli se ne venne via. Fu la prima delle sue fughe. Insoddisfazione di un temperamento portato all’assoluto, sdegnoso dei compromessi, insofferente della mediocrità?
Sempre solo. Quanti, anche fra i più affezionati collaboratori, avranno intuito la sua profondità interiore?
Come riuscì a celare al suo entourage fraterno, che lo amava fino all’adorazione, la morte imminente, non durò fatica a nascondere il suo mondo intimo. Ripetiamo: se così poco sappiamo di lui, è dovuto al suo inaccessibile bisogno di tacersi, di pregare-soffrire-godere nel segreto del cuore; è dovuto altresì al suo studio di circondarsi di confratelli estremamente discreti e forse poco intuitivi, poco allenati e appassionati a «leggere» (dagli occhi, dai gesti, dal timbro del parlare, da certe assenze e presenze, dall’eco suscitato in un’anima...); via, piuttosto ottusi.
V. Gamboso, Antonio di Padova, vita e spiritualità, Edizioni messaggero Padova, 2006, pag. 189, 192-193.
Autore: Rev. Lo Russo Gaetano